TOSCANA - Firenze |
SCHEDA : Palazzo Capponi 1 |
TITOLO : Trasporto del Cristo al Sepolcro |
UBICAZIONE: Firenze, Palazzo Capponi. Cappella delle Rovinate.
PROVENIENZA: Firenze, chiesa di S. Felicita. Cappella Capponi.
DIMENSIONI: cm.133 x 52.
CRONOLOGIA: 1526 (documentata: allogata 2/9/1526).
AUTORE: Guillaume de Marcillat (documentato).
COMMITTENZA: Ludovico di Gino Capponi.
SOGGETTO: Deposizione dalla Croce e Trasporto del Cristo al Sepolcro.
NOTE CRITICHE: La vetrata venne originariamente eseguita
per la Cappella Capponi in S. Felicita a Firenze, donde fu rimossa nel 1737
durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio: data per dispersa da
alcuni autori, venne invece alloggiata nella Cappella privata del Palazzo
Capponi fino al 1859, allorquando fu posta nel Museo del Palazzo del Podestà;
collocata nuovamente nella Cappella del Palazzo Capponi dopo la seconda Guerra
Mondiale, è stata sostituita nell’originaria collocazione in S. Felicita da
una copia realizzata dallo Studio Polloni del prof. Papucci di Firenze.
L’opera appartiene alla fase tarda della produzione del Marcillat e
rappresenta l’ultima delle vetrate eseguite dal Maestro giunta fino a noi,
essendo andate irrimediabilmente perdute tutte le realizzazioni successive, come
ad esempio la vetrata con l’Albero di S. Domenico per la chiesa domenicana di
Arezzo (allogata il24/12/1528), o quella con l’Eucarestia e stemma Baglioni
per S. Domenico a Perugia (allogata il 14/7/1529), commissionata all’artista
poco tempo prima che egli morisse.
L’opera può ben essere inquadrata in quel gruppo di vetrate, prodotte dal
Maestro tra il 1524 ed il 1526, che mostrano un Marcillat più
"intimista": conclusa la stagione delle grandi bifore per il Duomo
aretino, testimonianza tra le più ricche e complesse dell’articolata cultura
dell’artista –sintesi di motivi classicisti, modelli michelangioleschi e
tecniche esecutive nordiche- il Marcillat pare avviato verso un ripensamento
della Maniera e dei suoi effetti più eclatanti. Egli sembra recuperare in un
certo senso quella misura più ponderata e quel raccoglimento che aveva
caratterizzato i tempi del suo esordio, e nel periodo romano (1506-1515) (vedi
Roma, chiesa di S. Maria del Popolo) e in quello cortonese (1515-1519), tornando
così a rappresentazioni più pacate, ad ambientazioni più severe, o più
spoglie se si preferisce, e a toni meno enfatici, così come è possibile vedere
nell’occhio per la chiesa di S. Francesco ad Arezzo (1524) (vedi finestra W),
o nello Sposalizio della Vergine per l’Annunziata sempre ad Arezzo (1526)
(vedi finestra s VII), o nelle vetrate con figura isolata (per esempio S. Maria
Maddalena del 1525) (vedi finestra N V) sempre per la chiesa dell’Annunziata.
In questo caso la vetrata si basa su poche figure essenziali, riassuntive dell’intero
dramma in atto, e trova il suo fulcro nella figura del Cristo, sottilmente
modellata con la grisaille, colta in ardito scorcio, il cui pallore
contrasta con l’esplosione brillante dei colori delle vesti degli altri
personaggi: colori, come di consueto, basati sul prevalere dei rossi e dei viola
in contrasto con i verdi, i gialli ed i blu.
E tornano in questo antello anche "sigle" particolari del Maestro,
già impiegate in precedenza, come la veste rossa puntinata dell’anziano,
simile alla tunica di S. Matteo nella vetrata della Vocazione (1520) (vedi
Arezzo, Cattedrale, finestra s VIII) o alla veste dell’Adultera (1524) (vedi,
ibidem, finestra s V), ottenute con il vetro rosso placcato ed inciso, oppure l’effetto
di trasparenza dell’aureola del Cristo, che lascia intravvedere la sommità
del capo della figura, realizzato con un sapiente uso della grisaille e
del giallo d’argento, effetto già sperimentato nel Battesimo di Cristo (1519)
(vedi Arezzo, Cattedrale, finestra s VII) e nella Vocazione di Matteo.
Il paesaggio è qui delineato per accenni, per nulla sottrarre alla centralità
dei personaggi, colti nelle loro fisionomie ben distinte e nell’espressione
individuale del dolore con una sensibilità, e vorremmo dire una partecipazione,
ancor più attenta del solito: tratteggiati in punta di pennello, oltre alla
figura del Cristo, si impongono i profili della Vergine e degli altri attori,
segnati da profonda compostezza, lontani dalla libera esplosione del sentimento
delle bifore del Duomo di Arezzo, accomunati da un’intima emozione che
restituisce nuovamente alla scena la pregnanza dell’hic et nunc.
E a rendere ancor più paradigmatico il tragico epilogo, ecco sul fondo
rappresentato il momento precedente: il dramma è avvenuto e si provvede alla
Deposizione del corpo di Cristo dalla croce; l’inserto è tutto realizzato in
monocromo di grisaille e giallo d’argento, secondo un procedimento caro
al Marcillat, che aveva concepito similmente inserti decorativi o fregi e
cornici antichizzanti in svariate opere per il Duomo e per l’Annunziata di
Arezzo: ma mai tali brani avevano assunto il valore narrativo qui svolto, se non
nella Vocazione di Matteo, ove, nel basamento, erano sintetizzati due episodi
della vita del Santo.
Lo stile dell’inserto è rapido, compendiario, ma riesce a fondere l’acuto
segno grafico di ascendenza nordica del Maestro con tutto il patrimonio di
modelli, repertori, rielaborazioni acquisito nel lungo soggiorno in Italia: dal
classicismo assorbito nel primo periodo romano, al disinvolto uso dello scorcio,
memore del Signorelli, perfezionato nel periodo cortonese, fino al più maturo
ripensamento sull’esperienza michelangiolesca e manierista dell’ultima fase
aretina.
Alcuni critici (Tafi) hanno posto l’accento sulle parole descrittive del
Vasari, che a proposito dell’opera dice "…la quale finestra venne nelle
mani de’ frati Giesuati, che in Fiorenza lavorano di tale mestiere; ed essi la
scommessero tutta per vedere i modi di quello, e molti pezzi per saggi ne
levarono, e di nuovo vi rimisero; e finalmente la mutarono di quel ch’ella era…",
ravvisando in tale brano l’ipotesi forse di una qualche manomissione rispetto
al disegno originario. Se la circostanza non si può totalmente escludere a
priori, ritengo però che i brani di più alto lirismo, come la figura del
Cristo, i volti dei personaggi principali e la raffigurazione della Deposizione,
siano da ascrivere –nelle linee portanti, al di là delle integrazioni
apportate nel tempo- alla mano del Maestro e per la perizia tecnica, e per la
sensibilità nel modellare, e per la complessa stratificazione culturale che
manifestano, e per quel senso di commossa partecipazione, quasi identificazione
nel tema del dolore e della morte, che egli è riuscito a trasfondere dal
proprio animo alle sue creature.
STATO DI FATTO: La vetrata è stata oggetto di restauri
nel passato, ai quali dobbiamo gli strati di riverniciatura a freddo della
faccia esterna, l’inserimento di "ragnatele" di piombi di frattura a
deturpare i volti delle figure e la sostituzione di alcune tessere.
Nel 1996 (luglio –settembre) l’opera è stata sottoposta ad un intervento
conservativo condotto dal prof. S. Papucci con A. Becattini e R. Cappelletti
dello Studio Polloni di Firenze, durante il quale si è provveduto alla pulizia
della faccia esterna con acqua distillata e solventi per rimuovere gli strati
delle citate ridipinture precedenti che generavano un effetto oscurante assai
fuorviante e di seguito alla pulizia della faccia interna con acqua distillata,
impacchi di E.D.T.A. e carbonato di ammonio.
Si è dunque proceduto alla rimozione dei deturpanti piombi di frattura sui
volti dei personaggi, operando un incollaggio con resine fotosensibili dei
frammenti, ricomposti su un supporto di vetro incolore, modellato in forno sulla
forma del vetro originale: le tracce delle vecchie fratture sono state poi
ritoccate pittoricamente a freddo.
Sono inoltre stati sostituiti, con nuove tessere dipinte e cotte, due tasselli
riferibili a precedenti restauri, poiché ritenuti intrusivi e fuorvianti per la
leggibilità dell’opera e dal punto di vista cromatico e da quello
disegnativo.
E’ stata poi eseguita la rifasciatura perimetrale del pannello con un
trafilato nuovo di piombi, al fine di rinforzare strutturalmente l’intera
orditura dei piombi e correggere il fuori squadra dell’ antello, e la
stuccatura dello stesso con guazzo di stucco.
Si è infine passati alla fase del restauro pittorico, eseguito a freddo e
limitato a poche tessere, volto ad abbassare –con contenute velature- i toni
troppo accesi degli inserti introdotti dai precedenti restauratori.
Il brano è stato temporaneamente esposto presso la Galleria degli Uffizi nell’ambito
della mostra "L’officina della Maniera" ed in seguito ricollocato
nel Palazzo Capponi in via de Bardi. Contemporaneamente, grazie all’analisi
approfondita della tecnica pittorica e vetraria del Marcillat acquisita in fase
di restauro, è stata commissionata –su proposta del parroco di S. Felicita e
avallo della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze- allo
Studio Polloni la realizzazione di una copia fedele dell’opera, da collocare
nell’originaria sede nella chiesa di S. Felicita.
BIBLIOGRAFIA: vedi Bibl. Arezzo –Marcillat.
REF. FOTOGRAFICHE: Archivio A.P.T. Arezzo (Foto Ugo Baldesi)
ESTENSORE: Marina Del Nunzio (aprile 2000).